Il simbolo della pace, conosciuto in tutto il mondo per il suo disegno circolare attraversato da tre linee interne, è uno di quei segni che si riconoscono in un attimo, anche senza conoscerne il nome. Eppure, dietro a quella figura essenziale c’è una storia sorprendente, nata da un contesto ben preciso, ma capace di attraversare decenni e continenti fino a diventare un’icona senza tempo.
Oggi lo troviamo ovunque: sulle magliette, nei cortei, sui social, inciso nella pelle o disegnato su un muro. Ma prima di diventare un emblema globale, quel simbolo è stato una scelta consapevole, creata per esprimere un messaggio forte in un momento storico segnato dalla paura, dalla tensione e dal bisogno urgente di cambiare rotta.
Cosa tratteremo
Un disegno nato per protestare
Il simbolo della pace nasce nel 1958, nel Regno Unito, e porta la firma di Gerald Holtom, artista e designer britannico con un passato nella comunicazione visiva. L’occasione fu una manifestazione organizzata dal Campaign for Nuclear Disarmament (CND): una marcia da Londra alla base nucleare di Aldermaston per chiedere lo stop allo sviluppo e al possesso di armi atomiche. Holtom, chiamato a ideare un segno distintivo per la protesta, scelse di combinare un linguaggio grafico diretto a un messaggio emotivo potente.
L’idea si ispirava all’alfabeto semaforico, sistema di segnalazione usato in ambito militare e navale, dove le lettere vengono rappresentate con due bandiere orientate in varie direzioni. Le lettere scelte furono la N e la D, abbreviazione di Nuclear Disarmament. Nel codice visivo del semaforo, la “N” si ottiene con le bandiere rivolte verso il basso, la “D” con una in alto e una in basso. Sovrapponendole, Holtom creò la forma che oggi conosciamo: una linea verticale intersecata da due linee oblique dentro un cerchio.
Ma c’era di più. Holtom stesso raccontò di aver immaginato una figura umana vista di spalle, con le braccia abbassate in un gesto di sconforto. Quel simbolo non era solo un’invocazione al disarmo, ma anche un grido di dolore silenzioso. Un’immagine di disperazione consapevole, che voleva spingere all’azione.
Da marcia locale a linguaggio universale
La marcia del 1958 segnò l’inizio della diffusione del simbolo, che divenne subito il segno distintivo del CND. Nei primi anni rimase legato al contesto britannico e al movimento contro le armi nucleari, ma la sua forza visiva e la sua carica simbolica non tardarono ad attrarre l’attenzione di attivisti e artisti anche fuori dall’Inghilterra.
Negli anni ’60, in pieno fermento sociale, il simbolo varcò l’oceano e fu adottato dal movimento pacifista americano, diventando uno dei protagonisti delle proteste contro la guerra del Vietnam. In quegli stessi anni, trovò spazio tra le bandiere dei movimenti per i diritti civili, tra le mani degli studenti, sui vestiti degli hippie, accanto ai fiori, agli slogan e alla musica.
A quel punto, il suo significato si estese: da simbolo di disarmo nucleare divenne un emblema di pace globale, non violenza e resistenza civile. Non era più necessario conoscerne l’origine per coglierne l’intento: bastava guardarlo per sentirne il peso.
Un’icona che resiste al tempo
Con il passare delle decadi, il simbolo della pace ha mantenuto la sua presenza. Anche se non sempre associato a un movimento preciso, ha continuato a comparire nelle manifestazioni contro la guerra, nelle campagne ambientaliste, nelle lotte per i diritti umani. È diventato uno spazio visivo aperto, su cui ognuno può proiettare un desiderio di giustizia, di equità, di cambiamento.
La sua forza comunicativa risiede nella semplicità: un disegno minimale, pulito, che non ha bisogno di parole. Ma anche nella sua ambiguità costruttiva: chi lo guarda può leggerci dolore, speranza, lotta o riconciliazione. È un simbolo che non impone una visione, ma apre al confronto.
Oggi, lo si vede in forme diverse: stilizzato, colorato, destrutturato. A volte viene usato in chiave ironica, altre come richiamo nostalgico, altre ancora come segno autentico di impegno. Nonostante le mode e le reinterpretazioni, continua a evocare un’idea precisa: quella di un mondo in cui la forza non sia l’unico linguaggio possibile.
Il valore di un segno
Nel panorama saturo di simboli in cui viviamo, il segno della pace ha qualcosa di raro: una coerenza con la sua origine e una capacità di adattamento nel tempo. Non è stato creato per vendere, non nasce da un’esigenza commerciale o pubblicitaria. È nato per un’esigenza umana, urgente e politica. E ha saputo restare fedele a quella chiamata, anche cambiando significato strada facendo.
Il suo potere non sta solo in quello che rappresenta, ma in come lo fa. È una forma che invita alla riflessione, alla scelta. Un richiamo silenzioso che attraversa culture e generazioni.
E in un mondo che sembra ogni giorno più rumoroso, più fratturato, più polarizzato, il simbolo della pace resta lì, essenziale e potente, come un promemoria: si può ancora credere in un’alternativa. E quella forma, così semplice e così densa, ci ricorda che a volte basta poco per cominciare a costruirla.