In una zona d’Italia spesso associata alla bellezza del mare e alla qualità del pescato, la coltivazione dell’olivo è una delle risorse economiche più importanti della Puglia.
Gran parte dell’olio d’oliva che arriva sulle tavole degli italiani proviene da questa regione e si può tranquillamente affermare che tale prodotto rappresenta un emblema per i pugliesi.
La sua storia ha origini antiche e arriva ai giorni nostri e non mancano i progetti futuri che mirano a innovarne la produzione. Scopriamo insieme tutti i dettagli.
Cosa tratteremo
L’olio della Puglia: dove tutto ebbe inizio
L’olio pugliese ha una storia molto antica che si intreccia con quella di tutto il meridione italiano.
L’olivo, dalle cui bacche si ricava il prodotto che da secoli dona gusto alla cultura culinaria italiana, ha origini ricche di rimandi storici e simbolici e caratterizza tutto il territorio salentino e della Puglia in generale.
Arriva in Europa passando dal Mediterraneo orientale e dal Medio Oriente, fino a giungere in Puglia dove ha trovato terreno fertile per la sua crescita e capace di dar vita al prodotto intriso di tradizione che tutti conosciamo.
Le prime testimonianze che riguardano l’olivo nel “tacco d’Italia” risalgono a tanti millenni fa. Sono stati rinvenuti, infatti, delle tracce di noccioli di olive all’interno di rocce neolitiche che testimoniano come i popoli dell’epoca si cibassero di questo frutto già otto o dieci mila anni fa.
La coltivazione fu poi avviata e diffusa dai fenici, dai greci, dagli arabi e dai romani. I luoghi prescelti furono le vaste pianure e le colline assolate della regione. L’olivicoltura ebbe, in seguito, una ulteriore spinta grazie ai sempre più intensi traffici marittimi e alle caratteristiche di adattamento e resistenza degli olivi, che ebbero grande beneficio anche dai terreni sassosi della Puglia.
Le origini della spremitura delle olive e il contributo durante l’Impero Romano
Abbiamo testimonianza della prima spremitura di olive secoli prima della venuta di Cristo. Sono stati rinvenuti resti di natiche macine primitive che, attualmente, sono conservate in importanti musei internazionali, come quello di Creta e Haifa.
In Italia, precisamente a Taranto, sono custodite tre anfore utilizzate per conservare l’olio e donate agli atleti che partecipavano alle Panatee ateniesi. Dopo che l’Impero Romano impose il suo potere riuscì a rafforzare anche la posizione strategia in campo commerciale, accrescendo gli scambi tra i popoli e migliorando le tecniche e le conoscenze che riguardavano la coltivazione dell’olivo.
Nel corso dell’alto Medioevo, però, l’olivicoltura pugliese vide un calo della sua diffusione. Le piantagioni erano concentrate maggiormente nelle aree signorili. Bisogna anche tener conto del fatto che, ai tempi, l’olio non veniva considerato una fonte ricca e la sua commercializzazione era influenzata dal peso dei grandi recipienti necessari al suo trasporto.
Lo sviluppo dell’olivicoltura dall’epoca bizantina ai giorni nostri
In epoca bizantina le piante di olivo attraversano un nuovo periodo di fiorente in Italia. Successivamente alla caduta dell’Impero Romano l’olivicoltura subisce una crescita e un rinnovamento che alimenta la produzione di olio di oliva. Sono i navigatori veneziani a occuparsi, principalmente del commercio di questo prodotto.
I porti pugliesi accolsero tantissime navi che trasportavano grosse quantità di olio d’oliva e si interessarono alla sua commercializzazione anche toscani e genovesi, oltre che russi, tedeschi e inglesi.
Questo dimostra come, nella seconda metà del 1500, l’olio pugliese divenne protagonista degli scambi commerciali e ciò spinse il viceré spagnolo De Rivera a realizzare una via che collegava la città di Napoli alla regione pugliese.
Il periodo di maggiore prosperità, però, risale ai primi anni del 1600, anche se a tale sviluppo seguirà un periodo di lunga crisi che, successivamente, sarà fatale per tutto il meridione. Tale condizione fu causata da eventi climatici avversi, caratterizzate da temperature rigide, che colpirono tutta Europa dell’epoca e portò a pesanti carestie e alla crisi di tanti raccolti.
Questa situazione si prolungò fino alla fine di quel secolo, per poi invertirsi e registrare una nuova ripresa dell’economia agricola. Ancora una volta, l’olivicoltura pugliese si impose nel settore e vide un lungo periodo di espansione e prosperità, anche grazie alle innovazioni portate dalle nuove tecniche di coltivazione.
Fu in questo periodo che, in Puglia, nacquero generazioni d’innestatori e potatori che diedero una nuova forma all’olivo trasformandolo da un albero selvatico a uno curato alla perfezione e regolare.
Questo tipo d’intervento serviva ad accrescere la produzione e mantenere più bassi i costi che riguardavano la coltivazione e la fase di raccolta.
L’evoluzione e la crescita della produzione d’olio d’oliva è poi arrivata ai giorni nostri, con piantagioni di olivo che attualmente ricoprono più di nove milioni di ettari e circa sessanta milioni di esemplari.
L’olio pugliese ha ricevuto numerosi riconoscimenti, uno su tutti l’applicazione del marchio DOP.
Le opportunità di espansione e i trends futuri dell’olio d’oliva pugliese
L’industria olearia pugliese, tra cui ad esempio Oleificio San Marco a Ruffano nel Salento, dimostra, oggigiorno, grandi potenzialità di ulteriore sviluppo ed espansione che potrebbero portarla ad accrescere la presenza in Stati molto ricchi come quelli del Nord Europei, del Nord America e Australiani (in cui la domanda è altissima).
Inoltre, si punta molto sul riconoscimento sempre maggiore degli effetti benefici dell’olio d’oliva sulla salute delle persone, fattore che ne accresce l’immagini positiva in ambito agroalimentare.
Queste opportunità stanno spingendo molto produttori a ulteriori investimenti per l’innovazione del prodotto e del processo di produzione, con l’obiettivo di migliorarne la qualità riducendo, nel contempo, i costi. In futuro, poi, si punterà ancora di più sulle coltivazioni biologiche.